BAMBINI E AGONISMO PRECOCE

di Ciro Varone (istruttore di karate 8° dan, istruttore di tiro, istruttore krav maga)

Nel mondo dello sport spesso i termini competizione, agonismo, rivalità  sono una logica conseguenza di una impostazione sociale tendente alla performance  e alla ricerca di “modello tipo” da proporre anche fuori  dallo sport, sopratutto nell’educazione dei bambini.

Su queste basi sembra logico che  competere e fare meglio degli altri sia l’unico modo per l’uomo di “fare bene” .  Il pedagogo Alfie Kohn con alcuni sui libri ha tentato di spiegare, scardinando antichi diktat, come la continua contrapposizione e competizione con gli altri  aumenti ancora di più il nostro livello di infelicità e insoddisfazione e in taluni casi non accresca le nostre capacità.

Nel  1949, Morton Deutsch creò “un esperimento delle atmosfere di classe collaborative o competitive ” tramite variazioni molto sottili negli orientamenti che egli aveva dato a classi diverse.

Deutsch riferì ad alcuni studenti di un college che, invece di seguire il normale corso di psicologia essi avrebbero preso parte a dei seminari per la discussione e l’analisi di casi individuali. Egli informò il gruppo “competitivo” che gli studenti sarebbero stati classificati in base alla loro analisi e discussione dei vari casi, e che il voto finale di ogni persona sarebbe stato ricavato dalla media dei suoi voti giornalieri. Ai membri dei gruppi collaborativi si disse, invece, che una buona parte dei loro voti del corso sarebbero dipesi dalla qualità della discussione mostrata dall’intero gruppo. Deutsch volle osservare le conseguenze di queste due impostazioni. Nella situazione di collaborazione, scopi individuali e obiettivi di gruppo si identificano, l’attenzione dei membri era rivolta non più a se stessi ma all’interazione con gli altri. La consapevolezza che ognuno poteva contribuire al risultato finale faceva progredire l’intero sistema in maniera compatta. Nel gruppo “competitivo” i membri erano portati a concentrare l’attenzione sulla propria prestazione visto che i loro voti erano funzione delle loro capacità individuali. Deutsch osservò come queste diverse impostazioni producevano rendimenti differenti. I gruppi “collaborativi” divennero dei veri gruppi; le loro discussioni produssero molte più idee, non solo, ma la loro qualità fu superiore. Al contrario nei gruppi “competitivi” non ci fu integrazione tra i membri e i risultati furono nettamente inferiori a causa del palese individualismo.

Quest’esperimento dimostra che gli individui sono in grado di cambiare il proprio comportamento e di passare da un interesse prevalente per l'”Io” ad un interesse prevalente per il “Noi”, quando la loro ricompensa dipende da tale cambiamento; e che il rendimento del gruppo viene notevolmente modificato.

Kohn, nell’articolo di cui sopra, riferisce di un altro esperimento condotto dalla psicologa Teresa Amabile (Brandeis University) nel quale si chiedeva a bambine da 7 a 11 anni di comporre dei collages “buffi”. Alcune di queste lavoravano in competizione, in vista di un premio per il collage più bello, altre no. I collages delle bambine che avevano lavorato in vista del premio, sottoposti al giudizio di 7 artisti, furono giudicati significativamente meno creativi di quelli prodotti dalle bambine che non erano in competizione. Il non-sense della competizione ed il grido d’accusa contro di essa, si rafforzano quando si prende in esame il campo dell’istruzione. Un immenso numero di ricerche -sostiene Kohn-dimostrano regolarmente che la competizione nella scuola produce effetti negativi sul rendimento.
Questo avviene sia se si prendono in esame i profitti di compiti massimizzanti (che hanno di per sé una impostazione competitiva), sia, ovviamente, se si passa a considerare il profitto come risultato. In quest’ultimo caso i metodi competitivi fanno una figura ancora peggiore. I ragazzi, in pratica, non imparano meglio quando l’apprendimento viene trasformato in una gara. Kohn aggiunge: “Può ben darsi che l’insegnante preferisca fare della lezione un gioco a premi per tenere avvinta l’attenzione degli alunni, ma il vantaggio reale di questa strategia è di rendere l’insegnamento più facile, non più efficace: è un modo per aggirare i problemi pedagogici, piuttosto che risolverli”. A tal proposito lo stesso Kohn riporta le parole di John Holt (filosofo dell’educazione) che, a nostro parere chiariscono molto bene “il prezzo che paghiamo per la competizione nella scuola”: Noi distruggiamo… l’amore dell’apprendimento dei bambini, che è tanto forte quando sono piccoli, incoraggiandoli a lavorare in vista di ricompense meschine e disprezzabili -attestati, esposizioni di termini e disegni sulle pareti, dei voti in pagella, riconoscimenti e privilegi- in breve, per l’ignobile soddisfazione di sentirsi migliori di qualcun altro. Secondo Kohn, la gente preferisce la cooperazione alla competizione, quando le ha provate entrambe